domenica 31 maggio 2020
martedì 26 maggio 2020
San Filippo Neri a Gaeta
Oggi si celebra San Filippo Neri compatrono di Roma.
La Montagna Spaccata è un luogo magico che si trova a Gaeta e che ogni anno attrae migliaia di visitatori affascinati dalle tre fenditure che si trovano sul promontorio. Qui sorge il Santuario della S.S. Trinità costruito nel XI secolo e affacciato sul monte Orlando.
Questo santuario è passato alla storia perché qui hanno pregato numerosi pontefici, tra cui Pio IX ma anche sovrani, vescovi e santi come Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto Maurizio e San Filippo Neri.
La leggenda vuole che proprio San Filippo Neri avesse vissuto all’interno della Montagna Spaccata dove esiste un giaciglio in pietra nota ancora oggi come “Il letto di San Filippo Neri”.
Lungo le pareti della roccia poi, ci sono dei riquadri in maiolica che riproducono le postazioni della Via Crucis, in parte restaurate, risalenti al 1849 e attribuite a S.Bernardino da Siena, contenenti i versi del Metastasio.
Il percorso prevede anche la visita della suggestiva “Grotta del Turco”, collegata sia ad un’antica tradizione religiosa secondo cui venne alla luce al tempo della morte di Cristo, quando si squarciò il velo del tempio di Gerusalemme, sia a diverse credenze popolari. Fra queste, ci sarebbe l’impronta della mano di un marinaio turco su una roccia.
La Montagna Spaccata è un luogo magico che si trova a Gaeta e che ogni anno attrae migliaia di visitatori affascinati dalle tre fenditure che si trovano sul promontorio. Qui sorge il Santuario della S.S. Trinità costruito nel XI secolo e affacciato sul monte Orlando.
Questo santuario è passato alla storia perché qui hanno pregato numerosi pontefici, tra cui Pio IX ma anche sovrani, vescovi e santi come Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto Maurizio e San Filippo Neri.
La leggenda vuole che proprio San Filippo Neri avesse vissuto all’interno della Montagna Spaccata dove esiste un giaciglio in pietra nota ancora oggi come “Il letto di San Filippo Neri”.
Lungo le pareti della roccia poi, ci sono dei riquadri in maiolica che riproducono le postazioni della Via Crucis, in parte restaurate, risalenti al 1849 e attribuite a S.Bernardino da Siena, contenenti i versi del Metastasio.
Il percorso prevede anche la visita della suggestiva “Grotta del Turco”, collegata sia ad un’antica tradizione religiosa secondo cui venne alla luce al tempo della morte di Cristo, quando si squarciò il velo del tempio di Gerusalemme, sia a diverse credenze popolari. Fra queste, ci sarebbe l’impronta della mano di un marinaio turco su una roccia.
lunedì 18 maggio 2020
giovedì 14 maggio 2020
Sisto finisce la cupola
Nel 1590, in una magnifica giornata di primavera, terminata la solenne Messa di ringraziamento, sulla Cupola di San Pietro viene collocata l’ultima pietra (sulla quale è scolpito il nome di Papa Sisto V). Viene così completato l’anello superiore destinato a sostenere la Lanterna. Era il 19 gennaio del 1587 quando, trascorsi oltre venti anni dalla morte di Michelangelo, Giacomo della Porta, assistito da Domenico Fontana, riceveva dal Pontefice l’incarico di completare la Cupola. Il 19 maggio dello stesso anno, tra il tripudio della folla e sontuosi giochi pirotecnici, Papa Sisto V, con la celebrazione di una messa solenne, potrà inaugurare la chiusura dell’occhio della Lanterna.
mercoledì 29 aprile 2020
Obbedire alle regole perché la pandemia non torni
(La Stampa Vatican Insider)
Mentre l’Italia e altri Paesi si preparano alla «Fase 2», e non mancano polemiche attorno alla libertà di culto, il Papa fa un invito alla «prudenza» e alla «obbedienza delle disposizioni» perché l’epidemia di coronavirus non abbia una recrudescenza. L’occasione è la messa mattutina a Casa Santa Marta, una celebrazione durante la quale Francesco ha poi sviscerato, a partire dal brano evangelico del martirio di Stefano, il tema del «linciaggio sociale» che si produce anche nella storia recente in casi quali la Shoah, i colpi di Stato o Asia Bibi, la pakistana cristiana che ha trascorso dieci anni in carcere con l’accusa di blasfemia.
«In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni», ha detto il Papa introducendo la messa. Dall’inizio della pandemia, Jorge Mario Bergoglio celebra con una presenza minima di fedeli e, per raggiungere i molti fedeli confinati in casa, ha voluto che la celebrazione sia trasmessa in streaming.
Le parole del Pontefice vogliono distendere i toni anche per quanto riguarda le polemiche sulle messe ancora chiuse ai fedeli. La rabbia è esplosa dopo la presentazione del nuovo Dpcm, il 26 aprile, in cui non si prevede ancora la possibilità di partecipare alle celebrazioni religiose. Ma dopo il duro comunicato della Conferenza episcopale italiana (Cei), il governo ha comunicato subito la retromarcia. Così il richiamo papale alla prudenza diventa prezioso per i vertici della Cei, sotto pressione interna di molti vescovi e preti che invocano il proseguimento della linea di protesta intransigente: ora la Cei ha la «sponda» per tornare a seguire la strada del dialogo con l’esecutivo e il Comitato tecnico-scientifico. Oggi ci sarà un’altra riunione sul tema, e si lavorerà soprattutto al protocollo per i funerali, che potranno essere nuovamente celebrati da lunedì 4 maggio.
La Chiesa italiana non ha alcuna volontà «di strappare col governo, nè di fare fughe in avanti. L'intenzione è quella di andare avanti col dialogo costruttivo», conferma il portavoce della Cei nonché sottosegretario, monsignor Ivan Maffeis, all'Adnkronos. Maffeis richiama il monito rivolto stamani dal Papa, nella messa a Santa Marta, al rispetto delle norme perché la pandemia non torni. «La parola del Papa è importante, è la parola di un padre, decisiva e opportuna». Non osservare le norme con fughe in avanti, osserva il portavoce della Cei, significherebbe «calpestare le fatiche e le sofferenze del Paese. Il richiamo del Papa alla prudenza e alla saggezza - annota ancora il portavoce della Cei - è davvero la cifra che ci serve per contemperare due esigenze che non possono essere contrapposte, la salute di tutti non può essere sottovalutata. Sottovalutare le indicazioni dell'autorità sanitaria significherebbe di fatto irresponsabilità che nessun cittadino può permettersi, sarebbe come calpestare i tanti morti, medici, infermieri, gli stessi sacerdoti e quanti, in una forma o nell'altra, si sono esposti per curare i malati di coronavirus compromettendo la loro stessa salute. Una sottovalutazione che sarebbe una irresponsabilità non scusabile».
Il portavoce della Cei guarda alle settimane lasciate alle spalle e alla fase transitoria che abbiamo davanti: «Se nelle settimane che abbiamo alle spalle, ciascuno con responsabilità ha accettato le regole imposte, ora bisogna ricordarsi che non siamo fuori dall'emergenza. Il percorso che abbiamo davanti deve per forza prevedere una fase transitoria nella quale tornare gradualmente al lavoro, alle attività quotidiane e alla vita ecclesiale». Una fase nella quale, ribadisce don Maffeis richiamando il Papa, «prudenza e saggezza sono decisive. Per questo come Chiesa non possiamo in alcun modo giustificare fughe in avanti». Il prelato torna anche sulla reazione durissima dei Vescovi dopo il no alle messe aperte ai fedeli anche nella fase due dell'emergenza: «In quelle parole - spiega don Maffeis - non c 'è volontà di strappare col governo o con il comitato scientifico. Tra noi in tutto questo tempo c'è sempre stata collaborazione e dialogo». Tuttavia, ricorda, la Chiesa ha dato voce alla «delusione» per non essere stati considerati. I Vescovi, spiega don Maffeis, apprezzano che da lunedì si potrà dare conforto ai famigliari dei defunti con i funerali. «La nota - osserva ancora - esprime amarezza di fronte al fatto che con la ripartenza di attività considerate giustamente strategiche per la vita del Paese non ci venisse riconosciuta la possibilità di tornare ad abitare le nostre chiese nel rigoroso rispetto delle norme».
Nell’omelia, il Papa è partito dal brano evangelico del martirio di Stefano – un «vero linciaggio» seguito da un giudizio formale che segue l’umore popolare – per attualizzarlo ai giorni nostri. «È un modo di fare giurisprudenza», ha spiegato Francesco nella messa trasmessa da Vatican News, Tv2000 e Rai Uno. «Anche oggi lo vediamo, questo: anche oggi è in atto, in alcuni Paesi, quando si vuole fare un colpo di Stato o “fare fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo: notizie false, calunnie, poi si affida ad un giudice di quelli ai quali piace creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda, e poi condanna. È un linciaggio sociale. E così è stato fatto a Stefano, così è stato fatto il giudizio di Stefano: portano a giudicare uno già giudicato dal popolo ingannato».
«Questo – ha proseguito il Papa – succede anche con i martiri di oggi: i giudici non hanno possibilità di fare giustizia perché sono già stati giudicati. Pensiamo ad Asia Bibi, per esempio, che abbiamo visto: dieci anni in carcere perché è stata giudicata da una calunnia e un popolo che ne vuole la morte. Davanti a questa valanga di notizie false che creano opinione, tante volte non si può fare nulla: non si può fare nulla. Io – ha detto ancora il Pontefice argentino – penso tanto, in questo, alla Shoah. La Shoah è un caso del genere: è stata creata l’opinione contro un popolo e poi era normale: “Sì, sì: vanno uccisi, vanno uccisi”. Un modo di procedere per “fare fuori” la gente che è molesta, che disturba».
«Tutti sappiamo che questo non è buono, ma quello che non sappiamo – un altro esempio del Papa – è che c’è un piccolo linciaggio quotidiano che cerca di condannare la gente, di creare una cattiva fama alla gente, di scartarla, di condannarla: il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio che crea un’opinione; tante volte uno sente sparlare di qualcuno e dice: “Ma no, questa persona è una persona giusta!” – “No, no: si dice che…”, e con quel “si dice che” si crea un’opinione per farla finita con una persona. La verità è un’altra: la verità è la testimonianza del vero, delle cose che una persona crede; la verità è chiara, è trasparente. La verità non tollera le pressioni».
Francesco ha concluso citando ancora i tanti martiri, «anche a quello che festeggiamo oggi, San Pietro Chanel: è stato il chiacchiericcio a creare che era contro il re … si crea una fama, e va ucciso. E pensiamo a noi, alla nostra lingua: tante volte noi, con i nostri commenti, iniziamo un linciaggio del genere. E nelle nostre istituzioni cristiane, abbiamo visto tanti linciaggi quotidiani che sono nati dal chiacchiericcio». La preghiera finale del Papa: «Il Signore ci aiuti a essere giusti nei nostri giudizi, a non incominciare o seguire questa condanna massiccia che provoca il chiacchiericcio».
venerdì 27 marzo 2020
Ti imploriamo Dio, non lasciarci in balia della tempesta
La preghiera del Papa da solo in piazza San Pietro
Francesco sul sagrato della Basilica vaticana concede l’indulgenza plenaria. «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città. Signore, benedici il mondo»
Coronavirus, la benedizione di papa Francesco nella piazza San Pietro deserta
CITTÀ DEL VATICANO. Da settimane sembra «che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città». Il buio si è impadronito «delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante». Ci si è «ritrovati impauriti e smarriti». Ma anche «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, fragili e disorientati», allo stesso tempo «importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme». Ecco che papa Francesco, da solo in una piazza San Pietro deserta, fredda e piovosa, implora Dio di «non lasciarci in balia della tempesta». In questa preghiera speciale voluta per invocare la fine della pandemia, il Pontefice chiede al Signore di «benedire il mondo». Sul sagrato della Basilica presiede in mondovisione un «momento straordinario», dà la benedizione Urbi et Orbi (quella di Natale e Pasqua) e concede l’indulgenza plenaria. Scene e immagini che sono subito storia.
Il Vescovo di Roma arriva in San Pietro dove, nei pressi del cancello centrale della Basilica vaticana, sono collocati l'immagine della Salus Populi Romani e il Crocifisso «miracoloso» di San Marcello, che nel 1552 fu portato in processione per i quartieri di Roma perché finisse la «Grande Peste».
Il silenzio è assordante. La voce del Papa ha come sottofondo solo il battere della pioggia e il verso dei gabbiani.
Francesco, visibilmente commosso e affaticato per la salita sugli scalini, esordisce rivolgendosi a «Dio onnipotente e misericordioso», affinché guardi «la nostra dolorosa condizione: conforta i tuoi figli e apri i nostri cuori alla speranza, perché sentiamo in mezzo a noi la tua presenza di Padre».
Il mondo è chiamato a dare «un significato» a questo tempo così difficile riscoprendo nuovi spazi per la solidarietà, afferma il Pontefice. Per Bergoglio, «il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Abbracciare la sua croce - sottolinea - significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà».
Coronavirus, la preghiera del Papa: "Siamo fragili, ci possiamo salvare solo insieme"
La «tempesta» che si è abbattuta sull’umanità «smaschera la nostra vulnerabilità - evidenzia - e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l'anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell'immunità necessaria per far fronte all'avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine»; ed è rimasta «scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l'appartenenza come fratelli».
L'emergenza attuale può essere l'occasione di «reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri», sostiene indicando i «tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. Le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell'ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia»: soni «medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo».
Da settimane sembra «che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante» e così «ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa». Osserva il Papa: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme».
Francesco «implora» Dio: ora, mentre «stiamo in mare agitato, ti imploriamo: Svegliati Signore! Non lasciarci in balia della tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta».
Dopo l’omelia, nelle invocazioni si prega per «l’umanità, atterrita dalla paura e dall'angoscia, gli ammalati e i moribondi, oppressi dalla solitudine, i medici e gli operatori sanitari, stremati dalla fatica, i politici e gli amministratori, che portano il peso delle scelte».
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/03/27/news/la-preghiera-del-papa-da-solo-in-san-pietro-ti-imploriamo-dio-non-lasciarci-in-balia-della-tempesta-1.38645845
Francesco sul sagrato della Basilica vaticana concede l’indulgenza plenaria. «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città. Signore, benedici il mondo»
Coronavirus, la benedizione di papa Francesco nella piazza San Pietro deserta
CITTÀ DEL VATICANO. Da settimane sembra «che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città». Il buio si è impadronito «delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante». Ci si è «ritrovati impauriti e smarriti». Ma anche «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, fragili e disorientati», allo stesso tempo «importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme». Ecco che papa Francesco, da solo in una piazza San Pietro deserta, fredda e piovosa, implora Dio di «non lasciarci in balia della tempesta». In questa preghiera speciale voluta per invocare la fine della pandemia, il Pontefice chiede al Signore di «benedire il mondo». Sul sagrato della Basilica presiede in mondovisione un «momento straordinario», dà la benedizione Urbi et Orbi (quella di Natale e Pasqua) e concede l’indulgenza plenaria. Scene e immagini che sono subito storia.
Il Vescovo di Roma arriva in San Pietro dove, nei pressi del cancello centrale della Basilica vaticana, sono collocati l'immagine della Salus Populi Romani e il Crocifisso «miracoloso» di San Marcello, che nel 1552 fu portato in processione per i quartieri di Roma perché finisse la «Grande Peste».
Il silenzio è assordante. La voce del Papa ha come sottofondo solo il battere della pioggia e il verso dei gabbiani.
Francesco, visibilmente commosso e affaticato per la salita sugli scalini, esordisce rivolgendosi a «Dio onnipotente e misericordioso», affinché guardi «la nostra dolorosa condizione: conforta i tuoi figli e apri i nostri cuori alla speranza, perché sentiamo in mezzo a noi la tua presenza di Padre».
Il mondo è chiamato a dare «un significato» a questo tempo così difficile riscoprendo nuovi spazi per la solidarietà, afferma il Pontefice. Per Bergoglio, «il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Abbracciare la sua croce - sottolinea - significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà».
Coronavirus, la preghiera del Papa: "Siamo fragili, ci possiamo salvare solo insieme"
La «tempesta» che si è abbattuta sull’umanità «smaschera la nostra vulnerabilità - evidenzia - e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l'anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell'immunità necessaria per far fronte all'avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine»; ed è rimasta «scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l'appartenenza come fratelli».
L'emergenza attuale può essere l'occasione di «reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri», sostiene indicando i «tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. Le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell'ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia»: soni «medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo».
Da settimane sembra «che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante» e così «ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa». Osserva il Papa: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme».
Francesco «implora» Dio: ora, mentre «stiamo in mare agitato, ti imploriamo: Svegliati Signore! Non lasciarci in balia della tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta».
Dopo l’omelia, nelle invocazioni si prega per «l’umanità, atterrita dalla paura e dall'angoscia, gli ammalati e i moribondi, oppressi dalla solitudine, i medici e gli operatori sanitari, stremati dalla fatica, i politici e gli amministratori, che portano il peso delle scelte».
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/03/27/news/la-preghiera-del-papa-da-solo-in-san-pietro-ti-imploriamo-dio-non-lasciarci-in-balia-della-tempesta-1.38645845
lunedì 16 marzo 2020
Francesco prega per il mondo invaso dalla pandemia
Francesco è uscito dal Vaticano e ha venerato la Salus populi Romani a Santa Maria Maggiore.
Poi, a San Marcello al Corso, ha pregato davanti al crocifisso che salvò Roma dalla peste
Poi, a San Marcello al Corso, ha pregato davanti al crocifisso che salvò Roma dalla peste
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