mercoledì 29 aprile 2020
Obbedire alle regole perché la pandemia non torni
(La Stampa Vatican Insider)
Mentre l’Italia e altri Paesi si preparano alla «Fase 2», e non mancano polemiche attorno alla libertà di culto, il Papa fa un invito alla «prudenza» e alla «obbedienza delle disposizioni» perché l’epidemia di coronavirus non abbia una recrudescenza. L’occasione è la messa mattutina a Casa Santa Marta, una celebrazione durante la quale Francesco ha poi sviscerato, a partire dal brano evangelico del martirio di Stefano, il tema del «linciaggio sociale» che si produce anche nella storia recente in casi quali la Shoah, i colpi di Stato o Asia Bibi, la pakistana cristiana che ha trascorso dieci anni in carcere con l’accusa di blasfemia.
«In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni», ha detto il Papa introducendo la messa. Dall’inizio della pandemia, Jorge Mario Bergoglio celebra con una presenza minima di fedeli e, per raggiungere i molti fedeli confinati in casa, ha voluto che la celebrazione sia trasmessa in streaming.
Le parole del Pontefice vogliono distendere i toni anche per quanto riguarda le polemiche sulle messe ancora chiuse ai fedeli. La rabbia è esplosa dopo la presentazione del nuovo Dpcm, il 26 aprile, in cui non si prevede ancora la possibilità di partecipare alle celebrazioni religiose. Ma dopo il duro comunicato della Conferenza episcopale italiana (Cei), il governo ha comunicato subito la retromarcia. Così il richiamo papale alla prudenza diventa prezioso per i vertici della Cei, sotto pressione interna di molti vescovi e preti che invocano il proseguimento della linea di protesta intransigente: ora la Cei ha la «sponda» per tornare a seguire la strada del dialogo con l’esecutivo e il Comitato tecnico-scientifico. Oggi ci sarà un’altra riunione sul tema, e si lavorerà soprattutto al protocollo per i funerali, che potranno essere nuovamente celebrati da lunedì 4 maggio.
La Chiesa italiana non ha alcuna volontà «di strappare col governo, nè di fare fughe in avanti. L'intenzione è quella di andare avanti col dialogo costruttivo», conferma il portavoce della Cei nonché sottosegretario, monsignor Ivan Maffeis, all'Adnkronos. Maffeis richiama il monito rivolto stamani dal Papa, nella messa a Santa Marta, al rispetto delle norme perché la pandemia non torni. «La parola del Papa è importante, è la parola di un padre, decisiva e opportuna». Non osservare le norme con fughe in avanti, osserva il portavoce della Cei, significherebbe «calpestare le fatiche e le sofferenze del Paese. Il richiamo del Papa alla prudenza e alla saggezza - annota ancora il portavoce della Cei - è davvero la cifra che ci serve per contemperare due esigenze che non possono essere contrapposte, la salute di tutti non può essere sottovalutata. Sottovalutare le indicazioni dell'autorità sanitaria significherebbe di fatto irresponsabilità che nessun cittadino può permettersi, sarebbe come calpestare i tanti morti, medici, infermieri, gli stessi sacerdoti e quanti, in una forma o nell'altra, si sono esposti per curare i malati di coronavirus compromettendo la loro stessa salute. Una sottovalutazione che sarebbe una irresponsabilità non scusabile».
Il portavoce della Cei guarda alle settimane lasciate alle spalle e alla fase transitoria che abbiamo davanti: «Se nelle settimane che abbiamo alle spalle, ciascuno con responsabilità ha accettato le regole imposte, ora bisogna ricordarsi che non siamo fuori dall'emergenza. Il percorso che abbiamo davanti deve per forza prevedere una fase transitoria nella quale tornare gradualmente al lavoro, alle attività quotidiane e alla vita ecclesiale». Una fase nella quale, ribadisce don Maffeis richiamando il Papa, «prudenza e saggezza sono decisive. Per questo come Chiesa non possiamo in alcun modo giustificare fughe in avanti». Il prelato torna anche sulla reazione durissima dei Vescovi dopo il no alle messe aperte ai fedeli anche nella fase due dell'emergenza: «In quelle parole - spiega don Maffeis - non c 'è volontà di strappare col governo o con il comitato scientifico. Tra noi in tutto questo tempo c'è sempre stata collaborazione e dialogo». Tuttavia, ricorda, la Chiesa ha dato voce alla «delusione» per non essere stati considerati. I Vescovi, spiega don Maffeis, apprezzano che da lunedì si potrà dare conforto ai famigliari dei defunti con i funerali. «La nota - osserva ancora - esprime amarezza di fronte al fatto che con la ripartenza di attività considerate giustamente strategiche per la vita del Paese non ci venisse riconosciuta la possibilità di tornare ad abitare le nostre chiese nel rigoroso rispetto delle norme».
Nell’omelia, il Papa è partito dal brano evangelico del martirio di Stefano – un «vero linciaggio» seguito da un giudizio formale che segue l’umore popolare – per attualizzarlo ai giorni nostri. «È un modo di fare giurisprudenza», ha spiegato Francesco nella messa trasmessa da Vatican News, Tv2000 e Rai Uno. «Anche oggi lo vediamo, questo: anche oggi è in atto, in alcuni Paesi, quando si vuole fare un colpo di Stato o “fare fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo: notizie false, calunnie, poi si affida ad un giudice di quelli ai quali piace creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda, e poi condanna. È un linciaggio sociale. E così è stato fatto a Stefano, così è stato fatto il giudizio di Stefano: portano a giudicare uno già giudicato dal popolo ingannato».
«Questo – ha proseguito il Papa – succede anche con i martiri di oggi: i giudici non hanno possibilità di fare giustizia perché sono già stati giudicati. Pensiamo ad Asia Bibi, per esempio, che abbiamo visto: dieci anni in carcere perché è stata giudicata da una calunnia e un popolo che ne vuole la morte. Davanti a questa valanga di notizie false che creano opinione, tante volte non si può fare nulla: non si può fare nulla. Io – ha detto ancora il Pontefice argentino – penso tanto, in questo, alla Shoah. La Shoah è un caso del genere: è stata creata l’opinione contro un popolo e poi era normale: “Sì, sì: vanno uccisi, vanno uccisi”. Un modo di procedere per “fare fuori” la gente che è molesta, che disturba».
«Tutti sappiamo che questo non è buono, ma quello che non sappiamo – un altro esempio del Papa – è che c’è un piccolo linciaggio quotidiano che cerca di condannare la gente, di creare una cattiva fama alla gente, di scartarla, di condannarla: il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio che crea un’opinione; tante volte uno sente sparlare di qualcuno e dice: “Ma no, questa persona è una persona giusta!” – “No, no: si dice che…”, e con quel “si dice che” si crea un’opinione per farla finita con una persona. La verità è un’altra: la verità è la testimonianza del vero, delle cose che una persona crede; la verità è chiara, è trasparente. La verità non tollera le pressioni».
Francesco ha concluso citando ancora i tanti martiri, «anche a quello che festeggiamo oggi, San Pietro Chanel: è stato il chiacchiericcio a creare che era contro il re … si crea una fama, e va ucciso. E pensiamo a noi, alla nostra lingua: tante volte noi, con i nostri commenti, iniziamo un linciaggio del genere. E nelle nostre istituzioni cristiane, abbiamo visto tanti linciaggi quotidiani che sono nati dal chiacchiericcio». La preghiera finale del Papa: «Il Signore ci aiuti a essere giusti nei nostri giudizi, a non incominciare o seguire questa condanna massiccia che provoca il chiacchiericcio».
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