A Firenze il padre esercitava la professione di notaio ma, nel 1524, decise di intraprendere la strada dell'alchimia. Filippo aveva tre fratelli: Elisabetta, nata nel 1518, ricordata per aver testimoniato nel processo di canonizzazione, Antonio, morto poco dopo la nascita e la primogenita Caterina, nata nel 1513 che, dopo il matrimonio, ebbe due figlie, entrambe in seguito divenute monache.
Nel 1520 Filippo Neri perse la madre. Il padre decise così di risposarsi con Alessandra.
Durante gli anni di studio presso il convento di San Marco, il giovane Filippo Neri si appassionò a due testi che avrebbero influenzato il suo successivo apostolato: le Laudi di Jacopone da Todi, che in seguito egli fece musicare, e le Facezie del Pievano Arlotto, un libro umoristico scritto da un sacerdote fiorentino. Tra le sue meditazioni quotidiane figura l'Autobiografia di santa Camilla da Varano, come mostra la copia conservata alla Biblioteca Vallicelliana con sue note autografe.
Visse a Firenze fino a 18 anni, quando fu inviato presso uno zio, tale Bartolomeo Romolo, a Cassino (allora chiamato San Germano) per essere avviato alla professione di commerciante. In quegli anni cominciò a sentire la propria vocazione religiosa, così da costruire una piccola cappella in una roccia a picco sul mare denominata "Montagna Spaccata" (ancora oggi visitabile) a Gaeta, dove si recava tutti i giorni per pregare in silenzio. Lo zio, che si era particolarmente affezionato a lui, non avendo eredi, aveva deciso di lasciare al nipote, dopo la morte, tutti i suoi averi (ben 20.000 scudi) che questi però rifiutò per dedicarsi a una vita più umile.
Nel 1534 si recò a Roma come pellegrino ma vi rimase in qualità di precettore, ma ben presto espresse nella preghiera le sue attitudini di mistico e contemplativo. Cominciò a prestare la sua opera di carità presso l'ospedale di San Giacomo (il suo nome infatti compare fra le matricole dei membri della compagnia che regge l'Ospedale) dove molti anni dopo conobbe e strinse amicizia con Camillo de Lellis e nel 1538 venne anche a contatto con Ignazio di Loyola e con i primissimi membri della Compagnia di Gesù.
Secondo la tradizione nel 1544, e precisamente nel giorno della Pentecoste, in preghiera presso le catacombe di San Sebastiano, Filippo Neri fu preda di uno straordinario avvenimento (un'effusione di Spirito Santo) che gli causò una dilatazione del cuore e delle costole, evento scientificamente attestato dai medici dopo la sua morte. Molti testimonieranno di aver visto spesso il cuore tremargli nel petto e che, a contatto con esso, si avvertiva uno strano calore.
In seguito a questa esperienza Filippo abbandonò la casa dei Caccia per ritirarsi a vivere come eremita fra le strade di Roma, dormendo sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna. Spesso lo si vedeva passeggiare per le piazze cittadine vestito con una tonaca munita di cappuccio. Camminando per Campo de' Fiori e nei vicoli di Trastevere incontrava giovani che lo deridevano e beffeggiavano. Egli non si faceva sfuggire l'occasione e, unendosi alla comitiva, la conquistava con la sua simpatia. Iniziava con una barzelletta e con qualche gioco, ma poi si improvvisava predicatore, dicendo: “Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!”.
Molti tentavano di farlo cadere, una volta dei giovani scapestrati idearono una raffinata trappola: invitatolo in una casa, vi introdussero donnine di facili costumi. Ma la purezza di Filippo ebbe la meglio. Qualche anno più tardi dovette affrontare lo stesso tipo di tentazione a casa della famosa Cesaria, nota più per la sua bellezza che per le sue “virtù”. Essa volle per gioco scommettere con gli amici che sarebbe riuscita con le sue arti ammaliatrici a farlo capitolare. Fingendosi inferma lo invitò a casa sua per una confessione. Quando Filippo arrivò nella sua stanza la trovò vestita con un indumento così trasparente che niente lasciava alla fantasia. Accorgendosi dell'inganno il santo si diede alla fuga e la donna, scoperta, si vendicò tirandogli dietro un pesante sgabello. Forse è per questa esperienza che Filippo dirà in seguito ai suoi discepoli che “le tentazioni si vincono resistendo ad esse, ad eccezione di quelle carnali, dove è solo fuggendo che si hanno gloriose vittorie”.
In amore vince chi fugge..
Nello stesso periodo, si occupò degli infermi, abbandonati a sé stessi o affidati a pochi volontari, negli ospedali di San Giovanni e Santo Spirito nonché dei poveri nella confraternita della Carità, istituita da Clemente VII e nell'oratorio del Divino Amore. Essendosi fatto sempre più intenso il suo apostolato nei confronti dei bisognosi, tanti dei quali costretti a dormire in rifugi di fortuna, decise su consiglio di Persiano Rosa, suo padre spirituale, di fondare la cosiddetta Confraternita della Trinità, creata appunto per accogliere e curare viandanti, pellegrini e povera gente dei borghi romani. Inizialmente composta da quindici uomini, attratti dai discorsi da lui tenuti nella chiesa di San Salvatore in Campo, e installata nella casetta dello stesso Persiano Rosa, diede un grande contributo a favore dei pellegrini, in particolare nell'Anno Santo del 1550 (sebbene quell'anno venisse presa a pigione una casa più grande), tanto da ricevere da allora il soprannome di confraternita "dei pellegrini", e poi in seguito anche "dei convalescenti" per il suo soccorso nei confronti degli infermi della città.
Come sacerdote divenne famoso nell'esercizio del sacramento della confessione come fonte di dialogo con i "penitenti"; secondo testimoni oculari Filippo Neri ascoltava il pentimento dei suoi fedeli dall'alba fino a mezzogiorno, ora in cui celebrava la messa, sebbene non fosse raro trovare fedeli bisognosi anche in casa o perfino ai piedi del suo letto, dove egli ugualmente confessava in casi di necessità. Ciò suscitò invidie e gelosie, in particolare in due monaci (di cui si ignorano i nomi) e nel medico Vincenzo Teccosi, i quali dimoravano nella stessa San Girolamo. Seguirono una serie di screzi e ingiurie, i primi due erano, ad esempio, soliti beffeggiare il sacerdote mentre si preparava per la messa, o nascondendogli i paramenti, perfino le scarpe, o facendo in modo che ne usasse di logori. La cordialità, e soprattutto la pazienza di Filippo, finirono poi per conquistare i suoi tre avversari, uno dei due monaci entrò perfino nell'oratorio mentre il Teccosi, prima di morire, lasciò tutto in eredità a quello che un tempo era il suo peggior nemico, il quale non prese con sé che un ricordo (un orologio) cedendo tutto il resto ai nipoti del defunto.
Da questi dialoghi e da questi incontri nacque il primo nucleo della sua istituzione, <b>l'Oratorio</b>: il primo vero e proprio, un granaio sopra la navata della chiesa di San Girolamo della Carità.
L'11 ottobre 1559, Filippo Neri perse il padre, Francesco, e, dopo aver ricevuto l'eredità che gli spettava, preferì cederla alla sorella Caterina. In quegli anni il santo conobbe un altro importante personaggio della storia ecclesiastica, il cardinale milanese Carlo Borromeo.
Nel 1564 su pressioni delle comunità fiorentine, papa Pio IV (che sarebbe morto nello stesso anno) affidò a Filippo Neri il controllo della Chiesa di San Giovanni Battista de' Fiorentini che il santo, volendo rimanere a Roma, affidò ai giovani dell'Oratorio divenuti sacerdoti, quali ad esempio Cesare Baronio e Alessandro Fedeli, molto legati al loro padre spirituale.
Nel 1575 il papa Gregorio XIII eresse la Congregazione dell'Oratorio e concesse a questa la chiesa di Santa Maria in Vallicella, che ne divenne la sede. Grazie al suo insegnamento promosse innumerevoli attività: coinvolse nella preghiera e nella lettura della Bibbia uomini comuni, artisti, musicisti, uomini di scienza; fondò una scuola per l'educazione dei ragazzi.
In tempi nei quali la pedagogia era autoritaria e spesso manesca, Neri si rivolgeva ai suoi allievi (che erano, si direbbe oggi, ragazzi di strada) con pazienza e benevolenza: ancora oggi si ricorda la sua esortazione in romanesco: "<b>State bboni (se potete</b>...)!". Un'altra sua celebre frase, un'imprecazione di impazienza poi attenuata dall'augurio della grazia del martirio: "Te possi morì ammazzato... ppe' la fede!".
Gli anni che vanno dal 1581 al 1595, anno della morte, furono segnati da terribili malattie, guarigioni e ricadute continue. Preoccupato per il proprio destino scrisse per ben tre volte il proprio testamento. Alla comunità venne concessa intanto una nuova sede, l'Abbazia di San Giovanni in Venere e la possibilità di fondare un oratorio persino a Napoli. Fiaccato dalle malattie, Filippo Neri soffrì parecchio a causa di una terribile carestia che decimò alcuni membri della sua comunità oratoriana. Unico sollievo di quel periodo, nel 1590, il poter assistere, nella chiesa di Sant'Adriano al Foro, alla traslazione dei corpi di alcuni martiri. È da ricordare infatti che la testimonianza dei martiri era motivo di commozione per il santo fiorentino.
Seguendo i consigli di Filippo Neri, papa Clemente VIII decise di riconciliarsi con Enrico IV di Francia, evento di notevole portata nella storia della Chiesa cinquecentesca. Il pontefice, quasi per ringraziare il santo per il suo aiuto, prese con sé alcuni fra i suoi fedelissimi e decise di nominarlo cardinale, ma questi rifiutò la carica, dicendo, verso il cielo: “Paradiso, paradiso”. Nell'aprile del 1595 Filippo Neri venne colpito ancora più gravemente dalla malattia che lo affliggeva, tanto da non poter più modificare il proprio testamento.
Federico Borromeo, suo fedele amico, si recò a Roma per somministrargli personalmente l'eucarestia. Il santo, come lo stesso Borromeo dichiarò, benché moribondo dimostrava ancora una forza d'animo eccezionale. Il 23 maggio si riprese miracolosamente e poté officiare così la messa del Corpus Domini due giorni dopo, recitata “come cantando”. Dopo aver celebrato la messa sembrò quasi ai suoi fedeli che egli fosse come guarito, poiché continuava a scherzare e consigliare come suo solito. Verso le tre del mattino di quella stessa notte, tra il 25 e il 26 maggio, colpito da una grave emorragia, dopo aver benedetto la propria comunità Filippo Neri morì, quasi sorridendo nel momento del trapasso.
Filippo è stato senza dubbio uno dei santi più bizzarri della storia della Chiesa, tanto da essere definito "santo della gioia" o "buffone di Dio". Colto, creativo, amava accompagnare i propri discorsi con un pizzico di buon umore. Confessava con la stessa discrezione e la stessa bonarietà sia poveri che ricchi, sia principi che cardinali, dando a volte penitenze alquanto bizzarre, sicuro che, dopo aver fatto una simile figuraccia, il penitente non avrebbe più provato a compiere quel peccato. Vi è ad esempio un simpatico aneddoto che narra come a una donna, che aveva il vizio di sparlare degli altri, fu comandato dal santo di spennare per strada una gallina morta e poi di raccoglierne tutte le penne volate via. Alla richiesta del perché, da parte della donna, rispose che questo era come il suo sparlare, le sue parole si spargevano ovunque e non si potevano raccogliere più. Si offriva a tutti con generosità e soprattutto con un buon sorriso, tanto da essere definito dai contemporanei come "Pippo Buono". Questo è il quadro che ci danno di lui i suoi contemporanei, gli uomini che lo conobbero di persona.
Filippo Neri amava inoltre vivere all'aperto per sentirsi così in maggior contatto con Dio e le sue creature. Amava trascorrere le ore osservando il paesaggio romano dalla terrazza della sua stanzetta. A San Girolamo teneva con sé una gatta, un cane bastardino bianco a chiazze rosse, chiamato dal santo "Capriccio", che aveva deciso di non tornare più a casa per vivere nell'Oratorio. Il santo possedeva inoltre alcuni uccellini che, durante la giornata stavano in giro per la città, alla sera tornavano da Filippo, che li accudiva e gli dava di che cibarsi, e al mattino lo svegliavano con il loro canto.
L'insegnamento di Filippo Neri si può riassumere in quattro punti: una singolare tenerezza verso il prossimo, la prevalenza delle mortificazioni spirituali, in particolare mortificazioni contro la vanità su quelle corporali, allegria e buon umore per potenziare le energie spirituali e psichiche e infine la semplicità evangelica, di cui lui fu primo testimone. Durante le preghiere del suo Oratorio, Filippo Neri amava fare piccoli intermezzi cantati, così da rendere più piacevole la lettura del vangelo e, di conseguenza, l'incontro con Dio. Egli stesso amava cantare alcuni sonetti scritti da lui. L'Oratorio divenne così anche un laboratorio musicale perché le laudi si trasformarono da monodiche a composizioni a più voci con l'accompagnamento di uno strumento musicale.
Filippo Neri soleva riunire nel proprio Oratorio non solo i poveri figli della strada ma anche giovani di famiglia benestante, e persino figli di principi. Fra di essi vi era il quattordicenne Paolo, figlio del principe Fabrizio, della famiglia dei Massimo. Il 16 marzo 1583 il ragazzo, dopo una lunga malattia, morì. Padre Filippo, che avrebbe voluto assisterlo negli ultimi istanti, arrivò troppo tardi. Non poteva fare altro che raccogliersi in preghiera. Ma dopo qualche minuto fra lo stupore generale la sua voce risuonò sul brusio della camera: chiamava il ragazzo quasi volesse destarlo dal sonno. Paolo riaprì gli occhi e cominciò a confidarsi con il santo.
A un certo momento Filippo gli domandò se fosse morto volentieri; e lui rispose di sì, perché avrebbe raggiunto in cielo la sorella e la madre. "E allora va' in pace" esclamò il sacerdote mentre il ragazzo chiudeva gli occhi "e che sii benedetto e prega Dio per me"; poi, come narrano le testimonianze dell'epoca, riportate nel processo di canonizzazione del Santo, Paolo "subito tornò di novo a morire". La camera del miracolo, al secondo piano del Palazzo Massimo alle Colonne, che si affaccia sull'attuale Corso Vittorio Emanuele II, venne successivamente trasformata nella cappella, visitabile ogni anno nella ricorrenza dell'avvenimento.
Dopo la sua morte ebbe subito fama di santità presso i fedeli: Santo della gioia e Apostolo di Roma sono alcuni appellativi attribuitigli dai devoti.
Viene ricordato, soprattutto a Roma, per aver istituito (nel giorno di giovedì grasso del 1552 in aperta opposizione ai festeggiamenti pagani del Carnevale) il cosiddetto Giro delle Sette Chiese, un pellegrinaggio a piedi per le sette chiese principali della città: basilica di San Pietro in Vaticano, basilica di San Paolo fuori le mura, basilica di San Giovanni in Laterano, basilica di San Lorenzo, basilica di Santa Maria Maggiore, basilica di Santa Croce in Gerusalemme, basilica di San Sebastiano. Il Giro delle Sette Chiese è un pellegrinaggio tuttora praticato dai fedeli.
Fu proclamato santo nel 1622 e, in seguito, è stato dichiarato compatrono di Roma. Nonostante le sue reliquie siano in moltissime chiese, le sue spoglie sono venerate nella cappella della chiesa di Santa Maria in Vallicella dal 1602. La sua memoria liturgica coincide, com'è tradizione, con il giorno della sua morte: il 26 maggio.
Filippo Neri è anche compatrono della città di Manfredonia, insieme a san Lorenzo Maiorano, la patrona Maria SS di Siponto; di Gravina in Puglia, per volere del cardinale Vincenzo Maria Orsini poi Papa Benedetto XIII; patrono di Gioia del Colle in provincia di Bari e di Candida in Irpinia. È anche patrono di Tursi in provincia di Matera è patrono di Guardia Sanframondi in provincia di Benevento e patrono secondario di Veglie (Lecce). È inoltre compatrono di Venezia. Anche in Sardegna, nel grandioso duomo di Sassari, è venerato nell'altare a lui dedicato ed è patrono della con congrega che fin dal primo Settecento riunisce i canonici turritani sotto il suo nome. La prima chiesa al mondo dedicata a san Filippo Neri fu eretta nel 1636 a Carbognano (Viterbo) da Orazio Giustiniani, prete dell'oratorio della congregazione fondata dal Santo e poi cardinale. In Capitán Pastene, città fondata nella Regione dell'Araucania, Cile, da emigrati italiani provenienti da Pavullo, Emilia Romagna, l'unica chiesa esistente venne consacrata a San Filippo Neri.
Nato il 21 luglio 1515 a Firenze muore a Roma circondato dai suoi alle due del mattino del 26 maggio 1595 e il 12 marzo 1622 viene canonizzato da Gregorio XV.
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